Adeline Dieudonné, “La vita vera”, Solferino (2019)

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È una storia tesa e dura, che non lascia indifferenti, quella raccontata nel primo romanzo della belga Dieudonné. È la storia di una famiglia malata, in cui brilla però la luce di una protagonista intelligente, determinata e generosa, che riesce a non cedere all’oscurità che la circonda.

È lei la voce narrante, ma non ne conosciamo il nome, poiché nessuno lo pronuncia mai. Quando facciamo la sua conoscenza è una bambina di soli 10 anni; la seguiremo per i successivi 5, testimoni trepidanti di una crescita troppo veloce.

Abita in un quartiere anonimo e triste, rallegrato solo dal passaggio serale del carretto del gelato. Vive qui con la sua famiglia, composta da Gilles, il fratellino di 6 anni che lei ama in modo incondizionato, e dai genitori. Il padre è un uomo violento e crudele con la passione per la caccia, da cui riporta lugubri trofei impagliati che riempiono un’intera stanza. Quando non può sfogarsi uccidendo animali, si abbrutisce con whisky e tv, accumulando un rancore iroso che riversa sulla moglie. I suoi frequenti attacchi di collera, la sua misoginia, la sua forza distruttiva fanno vivere madre e figli in un clima di minaccia permanente. Lo scopriamo sempre più temibile, più simile a una belva che a un uomo (fiuta e ringhia ancor prima di parlare – ma la modulazione della voce è qui caratteristica identificativa di ciascun personaggio), dotato di un istinto predatorio che mira ad annientare la vitalità delle sue vittime.

La madre è una donna succube, fragile e terrorizzata, “un’ameba, un ectoplasma”, la cui vivacità si esaurisce nella cura del giardino e di alcuni animali, ma non dei figli. Anche lei, per quanto speculare al padre, non può essere un modello di riferimento. Così, crescere per la nostra eroina vuol dire prima di tutto decidere di non diventare un predatore, ma neppure una preda. Né vittima né carnefice, cercherà di conquistarsi uno spazio per vivere; dove vivere non significa solo sopravvivere, trasformandosi in un “involucro vuoto, sprovvisto di desideri”, ma nutrire obiettivi, emozioni, curiosità, speranza, amore.

Il seme da cui germoglierà questa identità libera e forte sarà la passione per la scienza. Di nascosto dal padre e aiutata dai pochi adulti che incarnano figure positive, la ragazza si dedicherà allo studio delle scienze naturali, facendo di Marie Curie il suo nume tutelare, baluardo contro la “iena”, l’istinto feroce che ha preso il potere sul suo mondo.

A spingerla verso il sapere è però innanzitutto il bisogno di riparare un danno, l’inconfessabile peccato che ha spazzato via l’innocenza sua e del fratellino: in modo del tutto involontario ma comunque orribile, ha causato la morte di un uomo. Lasciati a loro stessi, senza che nessuno li aiuti ad affrontare la visione brutale della morte, questa ulteriore tragedia si abbatte sui bambini, creando un senso di colpa nella ragazzina e devastando la mente di Gilles, che scivola in un’apatia interrotta solo dall’abbandono a pulsioni sadiche. Salvare sé stessa e l’adorato fratellino diventa allora l’unico scopo della nostra protagonista, che trova nel ricorso alla scienza il modo per fuggire da questo presente spaventoso.

La vita vera non è, a mio giudizio, un romanzo perfetto, e di certo non è gentile con gli uomini. Tuttavia, è un romanzo ricco di pregi. Innanzitutto, è abile nel creare un’atmosfera che si fa via via più inquietante e greve. Leggiamo con il fiato sospeso, consapevoli del pericolo. La durezza degli eventi non solo non è mitigata dalla scelta di una voce narrante infantile, ma ne risulta anzi accresciuta. E se all’inizio, in linea con l’età della protagonista, il racconto è punteggiato da elementi fiabeschi, progressivamente prende il sopravvento un crudo realismo. Non c’è alcun sentimentalismo in questa storia. Ma ci sono emozioni intense e sentimenti potenti.

Inoltre, è autentica e sentita l’indicazione della cultura come antitesi alla mancanza di umanità, alla violenza, allo squallore. È una cultura che ci fa crescere e migliorare, che può davvero cambiare le cose. È la via regina per uscire dallo stato di miseria morale ed emotiva. L’altra via è data dall’amore, in questo caso tra fratelli, fonte di una forza che può far superare tutti gli ostacoli.

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