Akira Mizubayashi, Anima spezzata, La Nave di Teseo (2023)

 

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Una domenica di novembre del 1938, l’undicenne Rei è con il padre Yu nella sala di un centro culturale di un quartiere di Tokyo. È immerso nella lettura di un libro, mentre il padre, violinista per passione, è occupato con le prove del quartetto per archi Rosemunde di Schubert, insieme ad altri tre musicisti dilettanti. Yu è giapponese, i suoi amici sono cinesi che vivono a Tokyo da anni. I quattro sono legati da rapporti affettuosi e paritari, condividono gusti, valori e sentimenti, l’amore per la bellezza e l’avversione per il clima bellicista e ultranazionalista dell’epoca, dominato da fanatismo e ubbidienza cieca. Il loro tempo è quello della musica e non collima con quello della storia. Cina e Giappone sono infatti in guerra e un simile quartetto misto, che per di più si esercita su un brano di musica classica europea scelto perché esprime “la nostalgia per un mondo passato … pacifico e sereno, più armonioso di quello di oggi, così laido e violento”, è di per se stesso un affronto alla retorica dell’Impero nipponico negli anni Trenta, alle sue ambizioni coloniali, alla sua ferrea gerarchia. Così, mentre i quattro stanno provando, un gruppo di militari irrompe nella sala. Subito prima del loro arrivo, allertato dal rumore di passi pesanti, Yu nasconde il figlio in un grande armadio. Dietro le spesse pareti di legno, il bambino sente tutto senza essere visto né poter vedere. Percepisce, ma senza capire fino in fondo, che il padre viene insultato e aggredito da un militare rabbioso, il quale sfonda con un calcio il suo violino. Dopo che i musicisti sono stati portati via, un altro militare, il tenente Kurokami, trova Rei e gli consegna in silenzio lo strumento distrutto. Con questo gesto, stabilisce tra loro un legame che li unirà per sempre, a loro insaputa.

La scomparsa del padre, che era anche il suo unico familiare, diventa il fulcro attorno a cui ruoterà l’intera esistenza di Rei. Di lui gli resta solo il violino devastato, rappresentazione della sua voce, della sua essenza, della sua anima. Quell’anima che la violenza ha cercato di uccidere e che Rei si impegnerà a tenere in vita e riportare allo splendore. Il bambino impotente raggomitolato dietro le ante di legno si consacrerà a rimediare alle ferite nella propria storia e nella storia del Giappone.

Apparso in Francia e in francese alcuni anni fa e tradotto l’anno scorso in italiano, il romanzo riserva alla musica un ruolo da protagonista. Lo esplicita già il titolo, che gioca sul doppio significato di “anima”, intesa sia come la dimensione più interiore dell’essere umano, sia come il piccolo tassello di legno posto nella cassa degli strumenti a corda. La musica appare dunque da subito come espressione della nostra parte più nobile, della nostra vita emotiva, morale, spirituale. Tutti i personaggi principali hanno a che fare con la musica, la amano, la eseguono, la ascoltano, contribuiscono a realizzarla e questa passione si accompagna alla loro particolare sensibilità. La bellezza immateriale e atemporale delle grandi composizioni, capace di riconciliare, redimere, lenire il dolore, trova in queste pagine anche una raffigurazione: alcuni dei brani di cui si narra l’esecuzione vengono descritti ricorrendo a immagini che ne rendono plasticamente il senso.

Il romanzo è scandito in quattro parti, corrispondenti ai movimenti del quartetto di Schubert suonato da Yu e con cui condividono ritmo e tono emotivo. A creare la peculiare atmosfera di ogni parte contribuisce inoltre il suo ambientarsi prevalentemente o esclusivamente in una stagione.

Il racconto è in terza persona, tranne che nelle prime e nelle ultime pagine, dove sentiamo la voce narrante di Rei: dapprima bambino spaventato e impotente chiuso in un armadio dal padre, infine anziano pacificato e sereno, che può chiudere l’armadio in cui custodisce l’altare dei ricordi.

Il garbo e la delicatezza sono le caratteristiche preminenti di questo romanzo. Il linguaggio è semplice, pulito, lirico. La narrazione resta sobria e pudica anche nei momenti di maggiore commozione, che viene stemperata dall’attenzione prestata ai gesti dei personaggi, quasi a evitare che restino sopraffatti dalle emozioni – e noi con loro. Il tempo appare dilatato: gli obiettivi, le relazioni, le guarigioni maturano nell’arco di anni e anni. Le cose davvero importanti richiedono preparazione, dedizione, pazienza, rispetto e amore. Alla luce di ciò che è realmente prezioso, le rinunce non appaiono più privazioni, ma ricerca di una ricomposizione autentica e duratura, di una superiore armonia.

Francesca

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