Herbert Clyde Lewis, “Gentiluomo in mare”, Adelphi (2023)

ACQUISTA

Henry Preston Standish è un gentiluomo di 35 anni, garbato, riservato, “scialbo come una tela grigia”. L’educazione ricevuta lo ha reso un borghese rispettabile, coscenzioso e avveduto, ma lo ha privato di ogni entusiasmo e ha soffocato le passioni. È agente di Borsa a New York, dove abita con la moglie e i due figli piccoli e dove conduce un’esistenza senza patemi. Finché un giorno non lo prende una smania di viaggiare, quasi un malessere fisico per questa vita monotona, e per tre mesi si sposta per terra e per mare. Quando giunge l’inevitabile momento del rientro, si imbarca sull’Arabella, un cargo riadattato al trasporto di passeggeri tra Honolulu e Panama, una rotta non commerciale e molto poco praticata. La navigazione è una continua fonte di gioia per Standish: il vitto è curato, l’alloggio confortevole, la compagnia piacevole; oltre al capitano, ai marinai, al cuoco e al cameriere, ci sono appena una manciata di viaggiatori: una bella signora con i suoi quattro simpatici bambini, un anziano agricoltore americano con cui Standish ha stabilito un rapporto che assomiglia all’amicizia, e una coppia di missionari che preferisce stare sulle sue. Il mare è magnifico e placido, sembra una lastra di vetro. Il clima è mite, la volta celeste maestosa, la luce stupenda e al mattino Standish ama vestirsi di tutto punto e ammirare l’alba da solo, in piedi sul bordo dello scafo. Senonché una mattina scivola e cade in acqua.

Una catena di sfortunate circostanze impedisce al personale e ai passeggeri della nave di accorgersi della sua scomparsa per molte ore – com’è facile passare inosservati anche in una piccola comunità! Da parte sua, Standish è troppo pudico per sbraitare o gesticolare come un forsennato per attirare l’attenzione. Il suo primo sentimento, una volta in acqua, non è la paura, ma la vergogna: “gli uomini di classe come Henry Preston Standish non cascavano dalle navi nel bel mezzo dell’oceano; non si faceva. Tutto qui. Era una cosa stupida, infantile e screanzata” e lui non vuole certo offrire uno spettacolo indecoroso. Quando finalmente supera le remore è troppo tardi, l’Arabella è ormai lontana. Non c’è da confidare sul passaggio di altre imbarcazioni, già lo sa, per cui non gli resta che sperare in un’inversione di rotta del piroscafo. Basta che i suoi compagni di viaggio si allarmino per la sua assenza. Ma quando ciò avviene, la conclusione a cui essi giungono riguardo al motivo per cui non è con loro non gli sarà di alcun aiuto.

Questo breve romanzo inizia come una commedia per poi virare su toni tragici: sebbene un certo umorismo non venga mai meno, come non affliggersi di fronte a un uomo abbandonato nel mezzo di un oceano smisurato, affidato alle sue sole forze, senza altre risorse che la speranza che tornino a prenderlo? Il racconto della disavventura del protagonista è alternato con intermezzi più leggeri dedicati alla vita sull’Arabella, che procede animata e godereccia, con il risultato di rendere ancora più miserevole la situazione di Standish, di cui ben poco gli altri passeggeri hanno capito e ben poco importa. Il suo animo è attraversato da emozioni contrastanti, dall’imbarazzo alla fiducia, dalla rassegnazione alla rabbia, dal senso di leggerezza alla disperazione, dall’incredulità al tormento di non poter raccontare a nessuno l’esperienza straordinaria che sta affrontando. Si pente dell’autocontrollo che gli ha impedito di provare a salvarsi – la compostezza è stata la sua rovina; si trova ridicolo, ma intanto cresce la paura, insieme alla sete e alla fatica di tenersi a galla. Man mano un amaro senso di impotenza prende il sopravvento, rendendogli lampante la propria piccolezza. Standish si spoglia di ogni abito esteriore e interiore e si interroga sul senso e sui valori alla luce dei quali ha vissuto. È bastata una sbadataggine da nulla per spazzare via tutto ciò che dava per scontato; ora è completamente solo con se stesso e con il proprio inesorabile destino, “un topo insignificante che le Parche avevano sbattuto di qua e di là con feroci zampate feline”. Ha avuto una vita privilegiata, ha sempre ottenuto tutto quello che voleva senza nemmeno chiedere, oggetti, relazioni, soddisfazioni, ma la cosa più importante di tutte, il semplice fatto di continuare a esistere, non è nelle sue mani.

Scritto nel 1937 e scomparso per decenni dalla scena editoriale, questo breve romanzo è una riscoperta di valore, un invito alla riflessione che rimane di grande attualità.

Segnalibro