Annie Ernaux, “Il posto”, L’Orma, (2014)

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Uno dei romanzi più noti della scrittrice francese che ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2021. Risale al 1983 (tradotto in italiano nel 2014) ed è incentrato sulla figura del padre. Ancora una volta, quindi, Ernaux attinge al suo mondo personale; e ancora una volta riesce a svincolarsi dalla pura rievocazione personale e a condensare nel percorso di vita paterno le caratteristiche di un’epoca. Invece di un racconto traboccante affetto e aneddoti, teso a dare spazio e luce all’unicità di questo individuo prossimo e amato, al suo modo peculiare di fare e di pensare, troviamo la raffigurazione di una personalità i cui contorni e le cui vicende rappresentano un intero capitolo della storia sociale del Novecento, diventano il modello di “una condizione condivisa con altri”. Una condizione che va espressa con sobrietà, senza “provare a fare qualcosa di appassionante o commovente”, senza indulgere nella “poesia del ricordo”.

Lo stile di questa autrice è unico. Una scrittura lineare, precisa, accurata, al contempo semplice e densa, levigata fino a diventare a volte ellittica, eppure sempre concreta. Solo una prosa così può creare un ritratto così chiaramente definito senza scendere nel particolare. Ernaux osserva suo padre e ne descrive empiricamente la mentalità, il carattere e il percorso biografico, rendendoli in qualche modo universali, propri non solo a lui. Per questo non conosciamo neppure il suo nome, contrassegno esclusivo dell’individuo. Ci viene invece descritto tramite alcune fotografie scattate in momenti diversi, anticipando l’uso sistematico delle immagini che avverrà più tardi ne Gli anni.

Il padre nasce subito prima del Novecento in una famiglia contadina che lavora la terra altrui. Una vita dura e faticosa che sembra appartenere ancora al Medioevo. Con la Prima Guerra Mondiale avviene una svolta: i giovani vengono arruolati e partono e al ritorno alcuni scelgono di abbandonare i campi per la fabbrica. Così è anche per il nostro protagonista, che diventa operaio; presto, però, compie un secondo passo e insieme alla moglie, anzi su sua iniziativa, apre in provincia un bar con annesso un negozietto di alimentari, trasformandosi in un piccolo commerciante.

Ernaux fa emergere bene i risvolti di questa ascesa sociale ed economica che caratterizza la vita dei suoi genitori e di tutti coloro che, come loro, hanno lasciato prima la terra, poi la fabbrica e sono entrati a fare parte di una borghesia minuscola ma destinata a crescere di numero e in benessere. Innanzitutto, il cambiamento fa nascere una paura del tutto nuova: la paura di non farcela, di fallire e ripiombare nella condizione precedente. Poi, con il consolidarsi della situazione e il raggiungimento di una posizione più certa, cresce il senso di inferiorità, il disagio per le “cattive maniere” ereditate dalla vita contadina e operaia, la percezione “di essere fuori posto”. Ernaux la chiama “l’ombra dell’indegnità”, la “vergogna di ignorare ciò che avremmo di certo saputo se non fossimo stati ciò che eravamo, ossia inferiori”. A ciò si accompagna l’assillo di evitare le brutte figure, di controllarsi per evitare gli errori, soprattutto nel linguaggio, rilevatore inequivocabile della provenienza sociale. Ed è proprio in relazione al linguaggio che vediamo comparire le prime crepe tra padre e figlia: la bambina, ottima scolara, lo corregge e il padre si arrabbia.

A partire dall’adolescenza il divario tra loro si allarga e in breve tempo Annie smette di riconoscersi nell’universo di pensieri, sentimenti e comportamenti in cui è nata e cresciuta. Tale cambiamento, che rappresenta la svolta fondamentale della sua esistenza, è dovuto all’istruzione. Lo studio le offre una promozione sociale impensabile per i suoi genitori e le permette di trovare il suo posto; in retaggio, però, le lascia il senso di colpa. Così, a dispetto di ogni apparente freddezza, questo ritratto paterno rivela il suo fulcro emotivo, annunciato dalla citazione di Genet posta in esergo: “Azzardo una spiegazione: scrivere è l’ultima risorsa quando abbiamo tradito”. Ernaux ha tradito, ha voltato le spalle alla realtà di suo padre, per il quale la “cultura” era “il lavoro della terra, risultandogli inutile l’altro significato della parola”. Come altri della sua generazione, è riuscita a entrare in un orizzonte di vita nuovo, quello della borghesia benestante e intellettuale, sicura di sé e spiritosa. Lei si vergogna del padre e il padre, pur non ostacolandola mai nelle sue scelte, prova imbarazzo per questa figlia così diversa e, insieme alla paura che fallisca, cova la speranza che fallisca. Ecco dunque la motivazione profonda che anima questo romanzo breve e denso: ripercorrere la distanza che si è creata tra loro due, “una distanza di classe, ma particolare, che non ha nome. Come dell’amore separato” e “riportare alla luce l’eredità che, quando sono entrata nel mondo borghese e colto, avevo dovuto posare sulla soglia”.

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