Anuk Arudpragasam, “Passaggio a nord”, La Nave di Teseo (2023)

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Sono molti gli spunti di riflessione offerti da questo romanzo, opera seconda di un giovane scrittore tamil dello Sri Lanka selezionata per il Booker Prize (vinto peraltro dal libro di un suo connazionale). Il protagonista è il trentenne Krishan che abita a Colombo insieme alla madre e alla nonna e lavora negli uffici di una ONG. Una sera viene informato per telefono della morte di Rani, la donna che per quasi due anni aveva vissuto con loro, badando giorno e notte alla nonna di Krishan. Rani era assente ormai da diversi mesi, da quando era tornata al suo villaggio nel nordest per un soggiorno che doveva essere breve e si era invece prolungato a dismisura senza alcuna spiegazione. La notizia della sua morte arriva lo stesso giorno in cui, dopo anni di silenzio, Krishan viene contattato via mail dalla sua ex, una giovane donna indipendente e votata a un ideale di impegno sociale, in nome del quale aveva interrotto la loro relazione. I due eventi, altrettanto sconcertanti, innescano in lui una serie di riflessioni sugli ultimi anni della sua vita e sulla storia recente dello Sri Lanka, segnata dalla guerra civile tra la minoranza tamil e i cingalesi, conclusasi nel 2009 con la vittoria del governo centrale e la resa dei separatisti. Pensieri, ricordi ed emozioni lo investono e si susseguono prima e durante il lungo viaggio in treno per raggiungere la casa di Rani e partecipare al suo funerale, al capo opposto del Paese, in una regione rurale che ha un’altra lingua e un’altra religione, un altro paesaggio e un’altra vita rispetto al resto dell’isola e che è stata epicentro degli scontri armati, delle devastazioni e dei massacri.

La trama del romanzo è tutta qui; l’azione è ridotta al minimo e l’arco temporale copre solo i due giorni che intercorrono tra la telefonata che annuncia la morte di Rani e la sua cerimonia funebre, eppure la lettura è scorrevole e oltremodo interessante. La narrazione si concentra sostanzialmente su ciò che avviene nella mente e nell’animo di Krishan, facendo della sua interiorità il punto di accesso a realtà ed esperienze molto più vaste e generali, sulle quali egli ragiona attingendo non solo al suo vissuto personale, ma anche a immagini e testimonianze di combattenti e vittime della guerra, così come a narrazioni e antichi poemi buddhisti o induisti che rivelano il bisogno universale di far fronte al dolore. Krishan ricorda la figura di Rani per come l’ha conosciuta, gentile e sofferente, e intanto fa i conti con la storia d’amore che lo ha profondamente segnato e con la decisione di lasciare la città indiana di Delhi, dove si stava avviando alla carriera accademica, per rientrare nello Sri Lanka e contribuire alla ricostruzione delle regioni martoriate dai bombardamenti. Dopo pochi anni, stanco e disilluso, era rientrato a Colombo, adagiandosi in un’esistenza più comoda e nelle occasioni offerte da una grande città moderna.

Krishan è originario del nordest, tuttavia non è mai stato esposto direttamente alla guerra e per questo prova un vago senso di colpa. Il suo intento è afferrare se stesso, ma innanzitutto gli altri, comprendere a fondo il mondo che si agita e soffre appena fuori dalla sua porta. Le considerazioni che dispiega in queste pagine stabiliscono illuminanti paralleli tra comportamenti solo in apparenza distanti e toccano molte questioni, dal nostro rapporto con il tempo al senso di alcuni riti religiosi, dalla natura del desiderio ai limiti della comunicazione, senza mai perdere di vista il conflitto che ha insanguinato il Paese. Il racconto non ripercorre i fatti storici se non per sommi capi. L’interesse è rivolto primariamente all’aspetto psicologico della guerra, alle profonde ferite lasciate in chi ha visto e subito violenze terribili. Krishan ci mostra il trauma di Rani, che negli scontri ha perso i due figli maschi, e ci fa capire quanto sia difficile per gli individui e le comunità riprendere a vivere normalmente dopo esperienze così estreme. Il viaggio a nord si trasforma allora in un viaggio di conoscenza da cui si torna arricchiti.

Il romanzo segue il filo dei pensieri di Krishan come una sorta di flusso di coscienza, narrato però in terza persona, quindi non in presa diretta, bensì in una forma ben strutturata, ben organizzata e senza lacune, che rende semplice e agevole la lettura. Le frasi, molto lunghe, danno al testo un ritmo peculiare, a cui ci adattiamo presto e con naturalezza.

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