Ayelet Gundar-Goshen,”Dove si nasconde il lupo”, Neri Pozza (2022)

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Lilach (che tutti in America chiamano Lila) è una donna israeliana emigrata ormai da 17 anni a Palo Alto con il marito Michael e il figlio sedicenne Adam. Abitano una bella casa di un quartiere residenziale e Michael ha un ottimo impiego in una società che collabora anche con il Pentagono. Lei e il marito hanno lasciato Israele poco prima della nascita di Adam per sottrarlo ai pericoli del loro Paese; hanno scelto di fare crescere il figlio in un ambiente tranquillo e multiculturale, almeno nei proclami. Tuttavia, dopo anni di quiete, una catena di circostanze trascina questa pacifica famiglia borghese al centro di un conflitto tra ebrei e afroamericani musulmani, la espone a minacce e al terribile sospetto che Adam sia un omicida, l’assassino di un coetaneo.

L’evento scatenante è un attentato a danno della comunità ebrea di Palo Alto. Un afroamericano psichicamente instabile entra armato nella sinagoga, uccide una ragazza ebrea e ferisce quattro persone. Questo attacco rende chiaro che anche nella Silicon Valley gli ebrei possono essere colpiti e la paura dilaga nell’animo di Lilach. Teme soprattutto per suo figlio, un ragazzo gracile, isolato e introverso. Superando le sue resistenze, lo convince allora a seguire un corso di autodifesa con un istruttore israeliano e queste lezioni, iniziate controvoglia, diventano il centro della vita di Adam. Lilach, che è una persona sensibile e attenta, soprattutto a suo figlio, lo vede fiorire, farsi meno timido, a suo agio con il proprio corpo, inserito finalmente in un gruppo di amici, non più chiuso in camera o nel laboratorio chimico che ha allestito in garage. Ma il sollievo dura poco: durante una festa tra compagni di classe a cui anche Adam ha preso parte, un ragazzo afroamericano di religione islamica muore per un’overdose di metanfetamine. Adam reagisce all’avvenimento in modo strano e da questo momento tutto il suo comportamento si fa ambiguo, si presta a interpretazioni diverse e dà adito a sospetti, rinfocolati da voci e denunce anonime. Nel frattempo, l’istruttore di autodifesa, che è diventato il confidente del ragazzo, mette a parte i genitori di alcuni inquietanti segreti.

La donna si tormenta: è possibile che Adam abbia avuto un ruolo nel decesso del suo compagno? Con l’adolescenza sono subentrati i silenzi, le alzate di spalle, la distanza e Lilach è sconcertata da questi cambiamenti. L’apprensione per l’incolumità del figlio si mischia alla preoccupazione che questo ragazzo diventato estraneo e sfuggente possa davvero essersi macchiato delle colpe di cui è accusato.

La storia raccontata dalla scrittrice israeliana Ayelet Gundar-Goshen è avvincente e riserva continue sorprese; non le rovinerò addentrandomi ulteriormente nella trama. Mi basta sottolineare i molti pregi di quest’opera raffinata e intelligente, che sa coniugare l’attenzione ai rapporti familiari con un’acuta analisi sociale. I personaggi sono credibili e ricchi di sfumature. Il tono del romanzo è intriso di suspense, inquietudine, ma ci sono anche momenti di intensa dolcezza. La reticenza dell’adolescente Adam, così connaturata alla sua età, viene ad alimentare la tensione in modo del tutto naturale; i suoi silenzi, il suo ritrarsi, il suo reclamare uno spazio tengono in allarme la madre, che invece vorrebbe conoscere, intervenire, accudire, capire se soffre e se è capace di fare del male. Anche la prosa, con le sue frasi brevi, contribuisce a restituire l’ansia di Lilach e la sua impressione di essere in balia degli eventi. Ma l’autrice si muove contemporaneamente su più piani e quello psicologico è solo uno tra questi. Sebbene la narrazione sia in prima persona e completamente aderente al punto di vista di Lilach, il romanzo ha un forte nucleo etico; inoltre, sa gettare luce sulla società nel suo insieme, sul razzismo e i pregiudizi diffusi, sulle cause profonde di certi comportamenti violenti e sui modi in cui le tensioni e gli attriti presenti nelle relazioni tra individui e tra gruppi vengono esacerbate ad arte da chi mira a ottenere vantaggi personali. Lilach vuole proteggere suo figlio, ma non a tutti i costi. A differenza di suo marito e dell’insegnante di autodifesa, secondo i quali non ci sono alternative, o si aggredisce o si subisce, lei spera in un mondo in cui si possa vivere senza sopraffare. Respinge il ricorso alla forza anche quando si trova esposta al pericolo, consapevole che il circolo vizioso delle aggressioni e delle ritorsioni è distruttivo per tutti. In America quanto in Israele.

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