Beatrice Salvioni, “La Malnata”, Einaudi (2023)

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Un romanzo d’esordio interessante, firmato da una giovane autrice (classe 1995) e pubblicato in contemporanea in più paesi e più lingue. La voce narrante è quella di Francesca, una dodicenne di buona famiglia nella Monza fascista del 1935. È un’ottima scolara, ligia alle regole, anche se qualcosa in lei comicia a fremere. È cresciuta nell’indottrinamento fascista, le è stato insegnato che deve essere ubbidiente, remissiva, che le apparenze e la rispettabilità contano sopra ogni cosa. Il padre è titolare di una fabbrica di cappelli ed è completamente assorbito dal lavoro, in nome del quale è disposto a chinarsi al potere per ottenere le commissioni di cui ha bisogno, la madre è distratta dalla relazione con un importante esponente politico locale, e lei, che non ha amiche, è molto sola. La sua casa è ingombra di mobili e ninnoli ma priva di calore; l’unica a offrirle complicità, a prestarle attenzione e dimostrarle affetto è la domestica. La domenica, mentre va a messa, Francesca si ferma a guardare con invidia un terzetto di coetanei sulle rive del Lambro, i loro giochi a piedi nudi tra fango, sassi e gatti randagi. Sono due maschi capeggiati da una femmina, una ragazzina minuta che tutti evitano e disprezzano, sebbene sia poco più di una bambina. Si chiama Maddalena ma è chiamata La Malnata perché si dice che porti sventura. È considerata una strega da quando il fratellino è morto in circostanze poco chiare e il padre ha subito un incidente. E lei, selvatica, ribelle e spavalda, questo nome lo ha “indossato come un’armatura e adesso ne va fiera”. Lo sfoggia come sfoggia la macchia che ha sul viso, un angioma che sembra il marchio della sua diversità. Il suo comportamento è una continua trasgressione, la sfida di chi non ha paura di niente e non ha niente da perdere. Va in giro sporca e malvestita, esibendo la sua non conformità. È la figlia minore di una famiglia operaia che non si ribella al fascismo ma neppure lo sostiene; vive con la madre traumatizzata dai lutti e due fratelli maggiori, che sopperiscono con il loro amore all’indifferenza materna. Insomma, per estrazione, carattere, comportamenti, modo di parlare Maddalena parrebbe agli antipodi da Francesca, eppure le due ragazzine si scelgono. Diventano amiche, unite da un rapporto speciale, unico. Francesca ammira Maddalena per la forza, l’autonomia, la capacità di tenere testa a una società che la rifiuta. Ben presto scopre quante ferite le ha inferto la vita – forse per questo non teme i graffi dei gatti. Accanto a lei, Francesca vive avventure che la lasciano senza fiato, entra in “un mondo in cui non si poteva giocare a far finta di essere qualcosa che non eri e si parlava coi maschi guardandoli negli occhi”. Impara a sporcarsi le mani e i vestiti, esce dal guscio delle maniere perbene per acquistare autenticità e libertà di movimento e di pensiero. Apre gli occhi sulle falsità e le acquiescenze del suo ambiente, scopre la crudeltà e il sangue, la ribellione e il pericolo.

Anche Maddalena a contatto con Francesca cambia. A scuola si sforza di tenere a freno l’impulsività e sopportare in silenzio regole ottuse e odiose angherie – almeno fino a un certo punto. Seguendo l’esempio dell’amica, si impegna negli studi, come le ha chiesto il fratello prima di essere costretto a partire per l’Etiopia, reclutato per l’impresa coloniale che l’Italia ha appena avviato.

Il legame tra le due ragazze conosce alti e bassi, deve affrontare ostracismi, sospetti, delusioni, così come il malanimo dei due coetanei che affiancavano devotamente Maddalena prima dell’arrivo di Francesca e adesso si sentono soppiantati. Ma loro restano insieme e insieme affrontano le ipocrisie e le ingiustizie, i soprusi e il maschilismo, solidali fino in fondo nell’opporsi a una realtà di prepotenze dei forti contro i deboli.

La storia di amicizia al femminile, formazione e presa di coscienza è ben tratteggiata, così come il clima della cittadina lombarda in piena epoca fascista. Ne risulta il ritratto di una società profondamente sessista, conformista, piegata allo spirito del tempo, dove ogni dissenso è tacitato e anche la borghesia, nonostante la superbia, è succube delle imposizioni del regime. Alcuni elementi di quest’opera ricordano altre pubblicazioni uscite negli ultimi anni in Italia e la inseriscono in un preciso filone narrativo; penso all’amicizia tra due ragazzine diverse per carattere e educazione, alle dinamiche che intercorrono tra loro, al percorso di crescita in un contesto di disamore e prevaricazione, alla caratterizzazione di certi personaggi e delle protagoniste, che appaiono peraltro un po’ troppo mature per i loro 12 anni. Tuttavia, il romanzo sa catturare, la prosa è fluida, vivace ed espressiva, capace di rendere vividamente ciò di cui parla. E non è certo un pregio da poco.

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