Cinzia Arruzza – Tuthi Bhattacharya – Nancy Fraser, “Femminismo per il 99%. Un manifesto”, Laterza (2019)

 

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Un pamphlet breve e forte, in cui tre studiose propongono di svincolare la questione dei diritti delle donne dal legame univoco con il genere, saldandola all’impegno per una società più equa e rispettosa dei diritti di tutti.

Strutturato in 11 brevi tesi, una premessa e una conclusione, questo vero e proprio manifesto ha il pregio della chiarezza e della semplicità, cosa da non confondere con la banalità, perché non c’è nulla di banale o di ingenuo in queste pagine.

Due sono gli obiettivi fondamentali della loro critica: il capitalismo e il femminismo dell’1%.

Il capitalismo neoliberista e finanziario è per sua natura predatorio, orientato unicamente alla massimizzazione dei profitti, da conseguire sempre più a breve termine. Per ottenere gli scopi che gli sono connaturati, sfrutta i lavoratori salariati di ogni settore, le attività non retribuite di procreazione e cura della famiglia e le risorse della terra. A meno che non venga obbligato, non ha riguardo per l’ambiente, non ha considerazione per i generi o il colore della pelle, non ha rispetto per gli individui e le comunità.

Il femminismo liberale si muove totalmente all’interno di questo sistema. Esso mira a promuovere le possibilità di carriera delle donne, la loro scalata alle posizioni di potere nelle attuali strutture politiche ed economiche, ruoli comunque riservati a un’élite. Ha finito per equiparare l’uguaglianza di genere al successo professionale di poche. Ubbidisce dunque alle stesse dinamiche che attribuiscono all’1% della popolazione benessere, ricchezza e diritti e appoggia lo status quo.

È invece giunto il momento di sostenere un femminismo per il 99%, un femminismo “genuinamente emancipatore e maggioritario”. Le donne vivono di fatto in situazioni diverse e sono soggette a forme differenti di oppressione. Appellarsi a una generica idea di sorellanza universale disconosce queste fondamentali differenze. Ma tutte le discriminazioni sono figlie del medesimo sistema: il sistema di teorie e pratiche economiche, sociali e politiche che va sotto il nome di capitalismo.

Il punto fondamentale è allora che le donne potranno avere pieni diritti solo in una società non più dominata dal capitalismo, una società da cui siano banditi lo sfruttamento del lavoro e delle competenze, l’oppressione razziale e neocoloniale, l’uso irresponsabile delle risorse. È necessario “un altro femminismo: un femminismo con una differente definizione di quel che è rilevante … con un differente ethos, radicale e trasformativo”. Ciò che davvero importa non è l’accesso di alcune donne al potere in un contesto che resta essenzialmente ingiusto, ma il benessere delle comunità umane e degli ecosistemi che ne sostengono la vita.

Tesi dopo tesi, molti sono i punti passati al vaglio: la natura del sistema economico liberale, la sua attuale crisi, le sue forme di violenza, l’impatto distruttivo sulle società e la natura, l’assoggettamento della politica al mercato e al capitale finanziario; il lavoro sottopagato, precario, globalizzato, la distinzione tra lavoro produttivo e l’attività di cura familiare, comunemente affidata alle donne (“la riproduzione sociale”, complesso di pratiche materiali, psicologiche, relazionali, sociali); la violenza di genere, la libertà sessuale, le discriminazioni basate su razza ed etnia; i tagli al welfare; la dilapidazione delle risorse naturali. Tutto ciò ricade sulle frange più deboli della popolazione, soprattutto sulle donne, le prime vittime di ogni forma di violenza, ingiustizia e impoverimento in ogni parte del mondo.

Ogni capitolo articola la critica al capitalismo neoliberista e propone un cambio di prospettiva sostanziale, capace di trasformare il movimento delle femministe nella vera alternativa sia al populismo reazionario, sia alle forze progressiste che non affrontano il problema alla radice. Si tratta di fare sentire la voce dal basso, di congiungersi con le altre forze tese ad abbattere vecchie e nuove ingiustizie, di adottare e reinventare lo strumento dello sciopero. Non ci sono ricette facili e soluzioni immediate. Piuttosto, l’alternativa all’ordine esistente deve prendere forma lungo la via intrapresa per costruire un nuovo futuro. Un futuro che dia “priorità alle vite delle persone e alle connessioni sociali e non alla produzione finalizzata al profitto”. Che si sia d’accordo o no, c’è molto su cui riflettere.

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