Dave Eggers, “La parata”, Feltrinelli (2019)

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È da pochi giorni in libreria il nuovo romanzo di uno dei più interessanti scrittori americani contemporanei. Sono appena 140 pagine, la prosa è piana, scorrevole e asciutta, ma la trama non è affatto scontata e solleva questioni importanti a cui non possiamo restare indifferenti.

La scena è quella di un Paese inesistente eppure facilmente riconducibile a realtà note. È il contesto di una regione appena uscita da una lunga e sanguinosa guerra civile: lacerata, distrutta, inselvatichita, attraversata da bande armate, disseminata di macerie, ma con una grande voglia di rinascere e di accedere alla modernità. Non conosciamo che cosa ha innescato il conflitto; d’altronde, saperlo renderebbe forse meno assurda la guerra?

È in questo paesaggio fisico e umano per molti versi enigmatico che si muovono i due protagonisti del racconto, Quattro e Nove. Sono gli pseudonimi che hanno scelto per celare la loro identità, in osservanza alle direttive dell’azienda estera per cui lavorano; restando anonimi, evitano di rendersi facili bersagli per i rapitori, ma anche le complicazioni derivanti dai rapporti personali.

Quattro e Nove sono appena arrivati e hanno due settimane per completare il loro incarico: asfaltare i 230 km della strada creata per collegare il Sud, arretrato e sofferente, con la Capitale nel Nord, economicamente molto più avanzato. La strada è nuova, è dritta e attraversa “macchia e deserto e foresta e villaggi”. La scadenza deve essere tassativamente rispettata, perché il Presidente ha già organizzato una grande parata di inaugurazione della strada, a suggello della ritrovata normalità.

È il lavoro perfetto per Quattro, uomo di grande esperienza e rigore, detto Orologio per l’attenzione scrupolosa alle tabelle di marcia. Quattro ha il compito di guidare la RS-80, asfaltatrice di nuova concezione particolarmente performante, nel cui abitacolo si rinchiude come in un bozzolo, al sicuro da ogni contaminazione con la realtà circostante e le sue sofferenze. Il protocollo aziendale, poi, pedissequamente seguito, lo tiene ben al riparo dai contatti: è sconsigliato intrattenere rapporti di qualsivoglia genere con i locali, è sconsigliato mangiare il loro cibo, dormire negli abitati e compiere azioni che possano compromettere la riuscita della missione.

Nove dovrebbe precedere l’asfaltatrice e controllare che la strada sia libera da ostacoli materiali o umani, intralci al tranquillo e fluido svolgimento del lavoro. Dovrebbe, perché Nove non conosce disciplina. È, come intuisce immediatamente Quattro, un “agente del caos”, distratto, irrazionale, incapace di attenersi a un compito, a un regolamento, a un piano di azione.

Quattro e Nove sono uno l’opposto dell’altro: Quattro è l’intelligenza logica, procedurale, funzionale. La sua vita si svolge quasi esclusivamente nella mente; il corpo è poco più di uno strumento, da soddisfare in modo frugale per tenerlo operativo. Quattro non prova emozioni, ad eccezione della rabbia che lo assale (ma viene tenuta a bada) a ogni intoppo. Egli incarna il metodo, il controllo, la pianificazione; in una parola, l’efficacia, il comportamento teso all’ottenimento di uno scopo. Non è nella sua natura interrogarsi sul senso dell’agire e sulle sue conseguenze. D’altronde, preferisce immaginarsi come “un’estensione della macchina”. A muoverlo è la pura razionalità, la logica economica che soppesa costi, dispendio di mezzi e risultati. Non è solo freddezza la sua: l’aderenza alle istruzioni è anche un baluardo contro l’incoerenza del mondo esterno, difficile da comprendere, e contro il tumulto interiore, difficile da controllare.

Nove, invece, è pura corporeità: estraneo al pensiero lucido, è istintivo, ingordo, sensuale, curioso, empatico e generoso, disordinato e privo di buon senso. Vive immerso nella realtà, coinvolto nel mondo, aperto e ricettivo, ma cieco all’efficacia del suo fare, che, privo di guida, si rivela per quello che è: uno spontaneismo pasticcione che non solo può compromettere la riuscita del lavoro che i due sono chiamati a fare, ma rischia di mettersi in scacco da solo.

La dialettica tra i due protagonisti trova la sua soluzione in un terzo, cruciale personaggio, anch’egli noto con il solo soprannome. Medaglione è un uomo del posto ed è intelligente e concreto, cerca e trova soluzioni per i problemi che si presentano e si preoccupa per gli altri. Medaglione è il solo in grado di comprendere e affrontare la realtà, perché è una persona completa. Basterà a ridare speranza al mondo?

Questa ricca riflessione sull’agire si nutre anche di altri temi: un discorso più politico; lo sguardo critico sul comportamento di chi, estraneo al contesto, pensa di promuovere lo sviluppo; la messa in questione del rapporto tra uomo e macchina e del lavoro inteso non come mezzo, ma come fine in sé.

Insomma, Eggers ci intriga, ci invita a pensare e ci sorprende fino all’ultima pagina, grazie all’uso esperto degli strumenti della buona letteratura.

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