Elena Ferrante, “La vita bugiarda degli adulti”, E/O (2019)

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Era grande l’attesa per il nuovo romanzo di Elena Ferrante. Dopo il considerevole successo riscosso con la quadrilogia L’amica geniale, un successo cresciuto nel tempo, decretato dal gradimento dei lettori e dei critici di mezzo mondo e consacrato dalla trasposizione televisiva (ma film erano stati tratti anche da suoi precedenti libri), questa autrice dall’identità misteriosa torna con una storia forte, trascinante e intelligente. Poiché mi è impossibile rendere conto in poche righe della sua profondità e ricchezza, vorrei sottolineare almeno il piacere di immergersi in questo racconto, che pure sa essere a tratti disturbante, poco accondiscendente, ma che intriga e coinvolge sin dalla prima riga. La scrittura è bella, fluida, non suona mai artificiosa e non prevarica mai sul contenuto; il ritmo è riuscito e tiene costantemente accesa la curiosità del lettore.

La protagonista si chiama Giovanna e sua è la voce narrante. È nata nel 1979 e quando la incontriamo ha 12 anni. La vicenda si svolge quindi nella prima metà degli anni Novanta, ma il contesto storico-sociale è quasi del tutto assente; d’altronde è una ragazzina a parlare. Giovanna vive a Napoli, nel quartiere collinare del Vomero, che nella sua esperienza è un mondo a sé stante, geograficamente e culturalmente al di sopra della Napoli popolare. È figlia unica di una coppia di insegnanti e la sua infanzia scorre tra la borghesia intellettuale di sinistra, circondata da discorsi colti e impegnati, dall’amore dei genitori, coccolata dal padre, felice della famiglia, delle amiche, della scuola.

Ad aprire una crepa in questo universo è una frase sentita per caso e pronunciata dal padre, il genitore più amato e idealizzato, quello nel cui sguardo si è finora formata l’identità di Giovanna bambina. Parlando a mezza voce, egli la paragona alla propria sorella, quella zia Vittoria brutta, malevola, ignorante che vive nei quartieri bassi e che nella rappresentazione familiare è un vero spauracchio, l’antagonista che punta a distruggere quanto di buono la famiglia ha costruito con le proprie forze.

In questo giudizio sconvolgente, Giovanna legge lo stigma di inadeguatezza. La disarmonia del corpo in crescita, la svagatezza dell’età le appaiono segnali di una tara genetica, la prefigurazione della “forma fisica e morale” che assumerà da adulta. Il bisogno di conoscere questa zia, da cui le verrebbe la disarmonia che il padre ha visto, diventa allora ineludibile. La scopre forte nella voce, nei gesti e nei sentimenti, ruvida e vitale, spontanea, scostante, volgare nella sua parlata dialettale, insomma l’opposto del garbo e dell’equilibrio che ha finora conosciuto. Giovanna è insieme affascinata e spaventata da Vittoria e dal suo mondo, così lontano, anche spazialmente, dal suo. La zia le prospetta una visione nuova e diversa della vita e dell’amore, ma man mano emerge la prepotenza, il feroce bisogno di controllo, la perentoria richiesta di fedeltà. La dichiara simile a sé, anzi uguale, e, per allontanarla dai genitori, le impone di osservarli con più attenzione. Ciò che Giovanna scoprirà sarà devastante e segnerà l’inizio della fine della sua famiglia. Ancora di più, segnerà la fine di ogni certezza e la destituzione di ogni autorità. L’uscita definitiva dall’infanzia.

Il libro segue Giovanna attraverso l’adolescenza fino ai suoi 16 anni. La “faticosa approssimazione al mondo adulto” di Giovanna vive della ferita che involontariamente il padre ha aperto e dello sgretolarsi dell’immagine di sé; vive della dialettica tra le due parti della sua famiglia, che incarnano due parti del suo animo in continua opposizione e sovrapposizione; vive della presa di coscienza delle ipocrisie e delle finzioni in cui i genitori hanno sempre vissuto, del franare dei punti di riferimento, dei legami, delle appartenenze date per scontate, con tutti i sentimenti distruttivi che ne derivano.

Ma il romanzo ci mostra anche altro. È forse questo uno degli elementi di maggior fascino del libro: dalle macerie dell’infanzia emerge, in modo progressivo, senza forzature, una realtà esterna e interna ben più complessa, ambigua, sfumata, anche grazie ai personaggi di contorno.

Giovanna cambia, si allontana da ciò che era, si degrada, si rintana, soffre, matura, legge, ragiona, fa finta, stringe nuove amicizie, scopre l’amore e il sesso, si cerca nel giudizio degli altri, si perde e si ritrova più volte, desidera essere amata nonostante tutto, non smette di dare forma a se stessa e intanto il mondo si trasforma davanti i suoi occhi. Neppure lei è limpida, le sue inclinazioni e le sue intenzioni non sono sempre pure, le sue scelte sono a volte discutibili e talvolta noi non siamo dalla sua parte.

Elena Ferrante entra nel groviglio dei sentimenti, dei pensieri e dei desideridi Giovanna, ma per fortuna non lo districa, non lo semplifica. Ci lascia invece con la speranza che le vicende della sua nuova protagonista abbiano un seguito.

Francesca

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