Emmanuel Carrère, “Limonov”, Adelphi, (2012)

ACQUISTA

Uscita in francese nel 2011 e l’anno dopo in italiano, questa singolare biografia dello scrittore russo Eduard Savenko, in arte Limonov, ha riscosso grande e meritato successo; letta oggi, si fa ancor più apprezzare perché ricostruisce con chiarezza quell’intrico di fatti storici, idee e frustrazioni che troviamo drammaticamente all’opera nel contesto bellico odierno. Carrère non si limita infatti a raccontare l’esistenza avventurosa di Limonov, bensì ripercorre in modo sintetico e lineare gli eventi salienti che hanno scandito la storia dell’Urss, del suo disfacimento e della nuova Russia, dalla nascita di Limonov, nel 1943, al 2010. Stalin, Kruscev, Breznev, il ruolo della dissidenza e poi Gorbaciov, Eltsin, il subbuglio politico, gli scontri, la liberalizzazione economica, il dilagare del caos, l’ascesa degli oligarchi, la delusione di larga parte della popolazione: il libro riesce a sistemare un vasto materiale, gettando luce sugli antefatti dell’attualità. A conferire ulteriore spessore a quest’opera vi è anche il confronto diretto tra la personalità di Limonov e quella dello stesso Carrère, che entra a più riprese nella narrazione per tratteggiare il proprio percorso di vita, radicalmente diverso, eppure per certi versi mosso dagli stessi rovelli, dalle stesse ansie, dalla stessa paura di essere un perdente.

Nelle abili mani dello scrittore francese, Limonov diventa un personaggio romanzesco. Ci appare al contempo brillante, affascinante, disinvolto, di strabordante energia, ma anche cinico, arrogante, rancoroso e invidioso. In lui convivono idolatria per la forza e fragilità, opportunismo e lealtà, egocentrismo e una grande capacità di amare. Scrittore disciplinato nonostante le intemperanze alcoliche e sessuali, disprezza gli intellettuali e desidera sopra ogni cosa agire, essere considerato un eroe, calcare il centro della scena. Le sue opere si caratterizzano per lo stile semplice, concreto e pieno di vita e per l’argomento esclusivamente autobiografico: Limonov sa scrivere solo di ciò che ha sperimentato – e nella sua vita ha sperimentato molto, anche in ambito sessuale, e Carrère ne rende conto in pagine crude e molto esplicite.

Ma a catturare l’attenzione, più che lo scrittore, è la persona, il suo carattere e le caleidoscopiche trasformazioni. Dai primi anni a Saltov, misero sobborgo della città industriale di Charkov, nell’Ucraina allora sovietica, fino alla paradossale carriera pubblica, la parabola di Limonov è rocambolesca. Conosce l’ospedale psichiatrico e la prigione, la marginalità e i salotti modaioli, la piccola delinquenza e la fama internazionale di scrittore, beniamino degli intellettuali parigini. Diventa un leader politico, prima fervente ultranazionalista, poi a capo della dissidenza antiputiniana, sebbene non nutra alcun interesse per i diritti civili e abbia sempre difeso ideali prossimi a quelli di Vladimir Putin, a cui imputa, con livore, il clamoroso successo. Nel corso degli anni è operaio, sarto, poeta bohémien protagonista della vita culturale underground in provincia e a Mosca. Negli anni Settanta, ormai certo che la grigia e soffocante realtà sovietica non gli permetterà di farsi notare, emigra a New York, dove presto finisce per strada, derelitto e sbandato; ma Limonov sa sempre risollevarsi e in breve lo ritroviamo maggiordomo alle dipendenze di un ricchissimo imprenditore. Negli anni Ottanta un suo scritto arriva in mano a un editore francese e la sua carriera letteraria decolla: si trasferisce a Parigi, dove pubblica con regolarità opere provocatorie e si fa notare per il suo smaliziato anticonformismo. Alla fine del 1989, nel pieno delle trasformazioni del suo Paese, rientra a Mosca. Adesso i suoi libri possono circolare liberamente nonostante i temi scandalosi, tuttavia il nuovo corso politico gli fa ribrezzo. A suo avviso, Gorbaciov sta consegnando la società e lo Stato in mano all’Occidente e “tutto sta andando a rotoli”; il mondo in cui è cresciuto si sta sgretolando, trascinando nella rovina ciò di cui andava fiero: la maestosità di un impero esteso e potente, fondato su grandi ideali, capace di fare tremare il mondo. Limonov è e resta un figlio dell’Urss, cresciuto nel culto di Stalin e della grande vittoria sui tedeschi, nell’orgoglio patriottico e nella stima per le personalità autoritarie. I gulag, le epurazioni, le deportazioni gli appaiono molto meno scandalosi della svolta intrapresa da Gorbaciov, che, in linea con Putin, vede come “la più grande catastrofe del secolo”. Nel 1993 fonda insieme a Aleksandr Dugin il Partito Nazionalbolscevico, fusione di fascismo, comunismo, antioccidentalismo, anticapitalismo, si adopera in prima persona affinché le minoranze russe dei Paesi un tempo sovietici e ora Stati autonomi insorgano e creino repubbliche separatiste; intanto partecipa da volontario alla guerra dei Balcani al fianco delle milizie serbe. Con l’ascesa di Putin, il suo Partito viene messo fuorilegge e lui stesso viene arrestato; trascorre anni in prigione e ne esce rinvigorito, pronto a tornare all’azione.

Eppure, sotto tutti questi abiti e ruoli, vi è un nòcciolo onnipresente: la necessità di dimostrare la propria grandezza, di essere riconosciuto come un vincitore, un uomo di talento, duro, magnetico, capace di cavarsela in ogni situazione, un capo, meglio ancora se temuto come un “boss” e venerato come un “santo”. Questo bisogno famelico di sentirsi osannato, invidiato, questa pulsione a primeggiare in un mondo che gli appare schematicamente diviso tra forti e deboli, trionfatori e sconfitti, l’orrore per l’anonimato e la mediocrità attraversa tutta la sua vita e ne rende coerente il percorso. Con sagacia e una scrittura felicemente riuscita, Carrère dà forma a tutte le sfaccettature di questa personalità complessa, al tempo stesso irritante e simpatica, di una fragilità completamente umana.

Segnalibro