Karine Tuil, “Le cose umane”, La nave di Teseo (2023)

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Sono molte le questioni sollevate dal nuovo romanzo dell’autrice francese di Le cose umane. Scritte in una prosa piana e semplice, quasi giornalistica, queste pagine lasciano emergere i meccanismi all’opera in ogni processo decisionale. Le valutazioni razionali, i convincimenti intimi, l’adesione a un sistema di valori, i condizionamenti dovuti alla propria storia e al vissuto affettivo: sono tutti fattori che intervengono a determinare le scelte. Il racconto non solo ci mostra questa complessa stratificazione di elementi, ma ci interpella e sollecita una nostra presa di posizione. La vicenda si svolge a Parigi nel 2016. Siamo nel pieno dell’ondata terroristica che ha sconvolto la Francia, culminata nell’attacco al Bataclan. È in questo contesto di crisi che vediamo al lavoro la giudice istruttore antiterrorismo Alma Revel. Come i suoi colleghi, Alma è sottoposta a un forte stress, alle pressioni della politica e della società, è bersagliata dalle minacce, confrontata quotidianamente con l’odio, la violenza, il dolore, la morte, gravata dall’enorme responsabilità di prendere decisioni che non solo devono rispettare la legge e tutelare i diritti degli imputati, ma da cui dipende la sicurezza della popolazione.

Tuttavia, Alma crede nella giustizia e nella sua capacità di smantellare le reti terroristiche, dissipando la “sensazione di fine del mondo” che pervade il paese. Il caso su cui adesso è chiamata a pronunciarsi è quello di Abdeljalil Kacem, un ragazzo poco più che ventenne di origini algerine e nazionalità francese. È in cella da oltre un anno, da quando è rientrato in Francia dalla Siria, dopo aver vissuto alcuni mesi nei territori controllati dallo Stato Islamico insieme alla sua giovane moglie incinta. I due erano convinti che solo lì avrebbero potuto vivere da buoni musulmani, invece hanno trovato una realtà ben diversa da quella che si aspettavano e sono tornati precipitosamente a casa. Subito posto in detenzione e assegnato ad Alma, Kacem viene interrogato più e più volte e ogni volta nega di essersi affiliato all’Isis. Si dichiara contrario alla violenza, ribadisce di essere stato indotto a credere alla prospettiva di una vita diversa e di essere cambiato. Adesso vuole solo ricominciare daccapo e dedicarsi alla sua famiglia. Tocca ad Alma valutare se il ragazzo dice la verità o mente, se è innocuo, quindi da scarcerare, oppure pericoloso e da tenere in detenzione a scopo precauzionale. Sebbene non tutto torni nelle sue affermazioni, non ci sono prove che attestino o smentiscano le sue buone intenzioni; ci sono soltanto le risposte date nel corso di ore e ore di interrogatori e i risultati delle molte perizie sulla sua persona, i suoi trascorsi e il suo ambiente. Kacem ha un passato costellato di traumi, è cresciuto in una periferia degradata e nella fede ha trovato un’ancora di salvezza. Emerge bene da queste pagine come il proselitismo trovi terreno fertile nelle situazioni di sofferenza sociale e personale e sappia manipolare il disagio, il rancore, la mancanza di prospettive e il senso di esclusione.

A raccontarci l’intera vicenda è Alma, il cui tono resta lucido e controllato anche quando il contesto è incandescente. La scelta di affidare la narrazione a un io narrante si accorda bene al tema al centro del romanzo: come si può formulare una valutazione oggettiva su fatti e persone che si possono conoscere solo parzialmente? Gli oggetti delle nostre deliberazioni sono opachi, la visione che neabbiamo è opaca, perché dipende dal nostro sguardo e dai suoi angoli ciechi, eppure è sulla base di questa conoscenza limitata e condizionata che compiamo le nostre scelte. Le decisioni della nostra protagonista hanno conseguenze che ricadono su altre persone, la cui vita può venire devastata da una carcerazione ingiusta o può finire a causa di una scarcerazione che non andava consentita. Tocca al lettore ascoltare il racconto di Alma ed esprimersi sulle sue eventuali colpe, omissioni, attenuanti, proprio come fa un giudice con i suoi imputati.

La decisione che Alma prende nei confronti di Kacem non si si basa solo sugli atti giudiziari, ma anche sulle idee maturate riguardo agli effetti della detenzione, ai doveri della società e ai diritti degli individui, alla natura degli esseri umani e alla loro capacità di redimersi, sulle esperienze pregresse e su quelle che sta vivendo. Oltre alla decisione lavorativa, infatti, Alma deve affrontare una decisione riguardo al suo matrimonio, in crisi da tempo, con uno scrittore che ha smarrito la via del successo. Mentre il marito, sempre più irrequieto e deluso, si riavvicina alla religione ebraica e alla famiglia d’origine, lei vive un’intensa quanto pericolosa relazione con un avvocato. Il romanzo si muove continuamente tra questi due piani, quello professionale, con la difficoltà di fare luce sull’anima degli indagati, e quello personale, con le zone d’ombra che gli sono proprie. La decisione se divorziare o no e quella sulla carcerazione di Kacem si dimostrano affini, perché in entrambi i casi la scelta è tra la sicurezza, il tentativo di proteggere se stessi e i propri familiari, e la coerenza con il proprio sentire intimo, la fedeltà ai valori in cui si crede. Ma siamo pronti ad assumerci la responsabilità di una decisione sbagliata?

Francesca

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