Sorj Chalandon, La furia, Guanda, 2024
Lo scrittore e giornalista francese Chalandon dimostra ancora una volta la sua maestria nel coniugare una scrittura semplice, asciutta e una forte denuncia sociale, rielaborando fatti realmente avvenuti. In questo suo nuovo romanzo, non solo fa propria la prospettiva di chi non gode di nessuna protezione, ma ne assume l’identità e la restituisce come esperienza viva.
La voce narrante è quella di Jules Bonneau, detto la Tigna, un adolescente dei primi anni Trenta del Novecento, rinchiuso nel riformatorio di Belle-Île, una piccola isola al largo delle coste bretoni. Circondato da mura invalicabili oltre le quali si stende l’oceano, l’istituto è una vera e propria prigione per minorenni, la cui colpa principale è di essere poveri, orfani, non voluti, di aver compiuto piccoli reati per sopravvivere o per sfogare la rabbia. Jules vive qui da quando aveva 13 anni; così ha voluto il nonno, che lo aveva preso in casa dopo che i genitori lo avevano abbandonato uno dopo l’altro, ma che ne tollerava a malapena la presenza e ancor meno le intemperanze. La fame aveva spinto Jules ai primi furti, la solidarietà a collaborare a un reato più importante, ma senza prendervi davvero parte. Sin da piccolo ha imparato a cavarsela da solo e a farsi scudo con la diffidenza, l’indifferenza, la capacità di sopportare senza mostrare debolezza e senza tollerarla negli altri. Sa come ottenere il rispetto dei coetanei e come trattenere la rabbia, che lascia esplodere in una furia devastante solo nella sua immaginazione; è così che riesce a sopravvivere nella colonia penale. Qui ragazzi e bambini sottostanno a regole rigidissime e a durissime punizioni. Sono vittime delle guardie, quasi sempre reduci di guerra incattiviti dall’alcol, e di un direttore benestante e ambizioso che li considera dei delinquenti da raddrizzare con disciplina ferrea e punizioni al limite del sopportabile. Sono vittime della prepotenza dei ragazzi più grandi e aggressivi, che maltrattano i più piccoli e deboli. La popolazione dell’isola, dal canto suo, li teme e li odia e non perde occasione per dimostrarlo. Crudeltà, soprusi, disprezzo, arbitrio: è questo che nutre Jules da sempre e che lo ha reso la Tigna. Eppure in lui non si è ancora spenta l’umanità e, sebbene si sia ritagliato un posto tra i capibanda, smette presto di infierire sui compagni; scopre persino, con stupore, di essere capace di affezionarsi e volere bene, sebbene il contesto sia ostile ai sentimenti.
Evadere è il sogno irrealizzabile di tutti, finché, inaspettata, non si presenta un’occasione e decine di reclusi la colgono al volo e si disperdono nell’isola. Ma non hanno scampo: sono circondati dall’acqua e braccati dalle guardie e dagli abitanti del posto, perfino da qualche turista. La gente comune, animata da un bigottismo cieco e da una cattiveria che nasce dalla superficialità e dall’assenza di riflessione critica, partecipa alla caccia piena di entusiasmo, come se fosse una festa; riacciuffa i ragazzini, li riconsegna ai loro aguzzini e se ne vanta – e non solo in virtù del premio in denaro per ogni preda riportata. Solo il nostro sfugge alla cattura e si incammina sulla strada che lo riconduce dalla Tigna a Jules. È una strada non semplice e non lineare, un processo di ricostruzione di sé che lo costringe a scelte drammatiche e a chiudere alcuni conti con il passato, ma che può aver luogo solo perché trova chi lo protegge e lo accoglie, chi è dalla sua parte e lo rispetta non perché è il più forte, ma perché è una vittima da aiutare e un essere umano a cui restituire dignità. Siamo negli anni Trenta, l’Europa ribolle, la prima guerra mondiale è un ricordo ancora vivo, i fascismi avanzano. Qua e là compaiono nuove sensibilità e nuove consapevolezze politiche e sociali, che però faticano a farsi largo in una società dominata dalla rabbia e dal conformismo. Ed è in questo contesto di forti contrapposizioni e di venti di guerra che Jules conquista la sua libertà.
La furia è un romanzo intenso e pieno di umanità, che racconta esperienze forti ricorrendo a uno stile essenziale, spesso ellittico e paratattico. Nei momenti emotivamente più densi, le frasi diventano brevi o brevissime e si succedono allineate, separate solo da segni di interpunzione quali la virgola e il punto. In questo modo, la realtà viene rappresentata in tutta la sua durezza, una sequenza di fatti e di pensieri che incalza e non lascia spazio a declinazioni e interpretazioni soggettive.
Finora pubblicato in italiano dall’editore Keller, con questo romanzo Chalandon fa il suo ingresso in Guanda, che ha da pochi giorni ristampato anche La quarta parete, uno dei libri più celebri dello scrittore. La traduttrice resta però la stessa, la brava Silvia Turato.
Francesca