Jurica Pavicic, “Acqua rossa”, Keller (2022)

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Insignito in Francia di numerosi premi dedicati alla narrativa di genere giallo, questo romanzo dello scrittore croato Jurica Pavicic non è solo avvincente, ma interessante da molti punti di vista. La storia si dispiega per quasi tre decenni, a partire dal settembre del 1989, quando la diciassettenne Silva scompare nel nulla. Dopo aver cenato a casa, in un piccolo centro della costa dalmata, con i genitori e il fratello gemello Mate, Silva si reca alla festa del paese, si intrattiene con un ragazzo che non è il suo e non fa più ritorno. La famiglia la cerca ovunque, la polizia batte tutte le piste, perlustra campagne, rocce, anfratti, scogli, scandaglia i fondali, bussa a ogni casa e interroga tutti gli abitanti. Si pensa all’incidente, all’omicidio, al rapimento, alla fuga volontaria, specie dopo l’affiorare di alcuni segreti nella sua vita. Nonostante l’assenza di indizi concreti, il padre e Mate procedono caparbiamente nelle ricerche e tappezzano aree sempre più vaste e sempre più lontane con avvisi di scomparsa che riproducono il volto della ragazza. Non desiste neppure l’ispettore incaricato del caso, Gorki Sain, un cognome illustre nella Jugoslavia di Tito. Intanto però la situazione del Paese cambia, si deteriora, infine precipita e inevitabilmente le indagini della polizia rallentano fino a fermarsi. Lo stesso Sain viene destituito – quel cognome che prima era un vanto, ora è un peccato.

Attorno all’asse portante della scomparsa di Silva, l’autore crea una struttura intrigante: innanzitutto usa sapientemente il contesto storico, che resta sullo sfondo, molto ben profilato ma mai invadente. È un ingrediente fondamentale della trama dosato nella giusta misura. Per sommi capi e con grande efficacia, il romanzo ripercorre i cambiamenti della Croazia a partire da fine anni Ottanta: il tumulto seguito alla caduta dei regimi comunisti, la crisi, il conflitto balcanico, le trasformazioni politiche ed economiche, l’esplosione del turismo, dell’edilizia e degli investimenti finanziari di imprese estere, che stravolgono il paesaggio e il tessuto sociale di aree tradizionalmente agricole e marinare.

È inoltre notevole il modo in cui Jurica Pavicic, nel raccontare le indagini, quelle ufficiali della polizia e quelle ufficiose della famiglia, porta alla luce gli effetti che la sparizione improvvisa di Silva produce negli animi di coloro che ne sono toccati. La madre si ripiega su di sé, piena di dolore e di rabbia muta; l’impossibilità di andare avanti è espressa, più che dalle sue poche parole, dal suo conservare immutata la casa e la camera della figlia. Il padre invece si arrende, sfiancato dalle vane e affannose ricerche, e finisce per convincersi, con rancore, che siano l’egoismo e la noncuranza a impedire a Silva di farsi viva. Tra i due coniugi la distanza si fa sempre più incolmabile e il loro rapporto si logora nel rimprovero reciproco e nel silenzio. Mate, solidale con la madre, si ostina nelle indagini, seguendo per anni e per tutta l’Europa le tracce flebili che di tanto in tanto compaiono, come gli avvisi di scomparsa che lui e il padre avevano affisso ovunque e che, sempre più sbiaditi, gli capita ancora di vedere; l’assillo di trovare la sorella condiziona tutta la sua esistenza – gli studi, il lavoro, il matrimonio. Ma anche i due giovani che erano stati indagati come possibili colpevoli avranno la vita segnata da questo evento. E non esce indenne neppure Sain, perché questo caso irrisolto è usato come scusa per decretare di fatto la fine della sua carriera in polizia. Neppure lui potrà dimenticare. La sofferenza, l’impossibilità di distogliere lo sguardo da questa assenza e dal mistero che la circonda, il tormento di non sapere, il senso di sconfitta sfilacciano i legami e deviano il corso delle esistenze di tutti.

Non è a mio avviso casuale che la scomparsa di Silva sia collocata nell’imminenza della scomparsa di un intero mondo: lo sconquasso che il fatto inatteso produce nelle vite e nelle menti di un ristretto gruppo di personaggi, che seguiamo lungo i decenni in racconti alternati, è una miniatura del più grande sconquasso che la Storia ha prodotto nella vita e nell’identità di un’intera società.

Il modo in cui gli eventi privati si incastonano in quelli universali, l’incedere del racconto con passo sicuro e tempi ben calibrati che sanno tenere accesa l’attenzione del lettore, pur non incalzandolo con continui colpi di scena, la trama ben congegnata, la scrittura piana, asciutta ma non banale, le psicologie dei personaggi delineate con delicatezza e assoluta credibilità, sono tutti punti di forza di questo romanzo giallo, che sa essere attraente anche per chi non ama il genere.

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