Laura Pariani, Selvaggia e aspra e forte, La Nave di Teseo (2023)

 

 

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Sono molti i temi che attraversano questo romanzo a sfondo storico, dove la prosa espressiva, sapiente, vivace di Pariani può dispiegare molte sfumature, grazie a diverse voci narranti. Pochi giorni fa abbiamo avuto il privilegio di approfondire direttamente con l’autrice alcune delle molte questioni che innervano la narrazione, allargando il discorso anche ai nostri tempi.

Basta il titolo, preso da un verso dantesco, a suggerirci che affronteremo un viaggio in un mondo ignoto, primigenio, pieno di vigore ma anche di mistero, in cui ci si può smarrire oppure ritrovare. Il personaggio al centro del libro è infatti un esploratore curioso, attento, aperto, avido di verità e autenticità. Si tratta di Guido Boggiani, persona realmente esistita, pittore, fotografo, esploratore, etnografo che ha contribuito in modo sostanziale alla conoscenza di alcune popolazioni indigene del Paraguay, presso le quali ha soggiornato a lungo. Nato a Omegna, sul Lago d’Orta, nel 1861 e scomparso nella regione del Chaco paraguayano nel 1901, senza che la sua fine sia mai stata chiarita, Boggiani era di origini agiate e si era affermato molto presto come pittore; a soli vent’anni esponeva in mostre importanti e frequentava i circoli intellettuali e la buona società di Milano e Roma. Tuttavia, insoddisfatto e alla ricerca di uno stile che fosse nuovo e profondamente suo, Boggiani lascia tutto e parte per il Sudamerica; si reca in Argentina, poi risale a Nord, verso la foresta del Paraguay, addentrandosi man mano in territori sempre meno esplorati, dove “la cartografia diventa leggenda”. Dipinge, più tardi affianca ai quadri anche la fotografia di paesaggi e persone, e intanto si avvicina alle popolazioni indigene e vive con loro e come loro per molto tempo. Si lascia conquistare dal modo di vivere semplice, libero, pervaso da grande spiritualità e dall’armonia con una natura sacralizzata. Impara le lingue degli indios della regione, partecipa direttamente a ogni aspetto della loro quotidianità, ammira la bellezza dei manufatti e delle pitture corporali, l’eleganza dei movimenti e delle maniere. Sono molto interessanti le pagine etnografiche che il romanzo dedica alla vita materiale india, al nomadismo, a certi tratti linguistici, al rapporto con i defunti e con l’invisibile. E bellissimi sono i miti e le favole indie che punteggiano l’intera narrazione e ne sono parte integrante.

L’atteggiamento di Boggiani è dunque molto diverso da quello degli altri europei stabilitisi a fine Ottocento a ridosso della selva tra Paraguay, Bolivia e Brasile, latifondisti che disboscano, coltivano, sfruttano i legni pregiati. Questi bianchi vivono in preda alla rabbia o alla rassegnazione, si sentono intrappolati, frustrati, in guerra perenne con il clima, le malattie, la natura e gli indios, rispetto a cui si sentono moralmente e culturalmente superiori; invece Boggiani qui trova una completa liberazione artistica ed esistenziale, vivificato dal contatto con la natura rigogliosa e con la profonda saggezza dei nativi. Si impegna come può per difendere queste popolazioni, il loro stile di vita e il loro habitat dall’avidità e dalla distruzione, dal preconcetto che li vede come selvaggi primitivi. Affascinato da questo mondo, lo studia con un approccio molto diverso da quello proprio alla scienza ottocentesca, che anche nello studio dell’essere umano punta all’osservazione distaccata, alla misurazione esatta. Le sue posizioni gli procurano molti nemici – e il romanzo avanza un’ipotesi sulla sua fine opposta a quella ufficiale, secondo cui era caduto “sotto la clava del selvaggio predone”, come scrisse D’Annunzio, che di Boggiani era stato amico.

La vita di Guido Boggiani viene ripercorsa in ordine cronologico, attraverso un collage di descrizioni esterne: in ogni capitolo, a raccontarci qualcosa di lui è un conoscente o un amico. Questo taglio obliquo conferisce al romanzo un carattere polifonico; al posto di una classica ricostruzione biografica, troviamo un susseguirsi di voci diverse, con i timbri loro propri; una lingua sempre diversa, rimpolpata con dialettalismi e regionalismi, con ispanismi e parole tratte dalle lingue indie. Ciascun personaggio esprime il suo punto di vista e il suo giudizio su Guido Boggiani, permettendoci di seguirne il tragitto biografico e geografico, le vicende e le idee, le aspirazioni e le esperienze, ma nel frattempo offre anche uno sguardo sulla propria vita e sul proprio modo di pensare. È molto interessante questa dinamica tra un protagonista sempre presente ma mai in primissimo piano (ad eccezione di un capitolo) e i testimoni della sua vita, che intanto raccontano se stessi: ciò non solo permette di comporre una storia collettiva, ma è in armonia con il ritratto di un uomo mosso dal desiderio di un Altrove e di un incontro autentico con l’Altro.

Francesca

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