Mandelli, “La culla degli obbedienti. Un’inchiesta sui rapporti tra educazione e potere”, Casagrande (2018)

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La questione dell’educazione e della formazione dei bambini e degli adolescenti è una delle più sentite nella nostra società. Lo testimonia, ad esempio, il successo di saggi e manuali a essa dedicati e il dibattito incessante attorno al tema della scuola, istituto formativo per eccellenza.

Francesca Mandelli, nota giornalista della Radiotelevisione della Svizzera Italiana, si inserisce in questo discorso, declinandolo però in modo peculiare. Il suo libro non è infatti un prontuario di regole e consigli a uso dei genitori, né un’indagine su compiti e funzioni della scuola, bensì una riflessione sul concetto di educazione. Una riflessione condotta a più voci e che tocca le questioni di fondo dell’educare: da dove viene, cosa significa, come si realizza, come dovrebbe realizzarsi, a che cosa deve mirare, tenendo sempre presente che le pratiche a cui ricorriamo si imprimono in profondità nei bambini e condizionano non solo la loro vita individuale, ma anche i loro atteggiamenti sociali e le loro posizioni politiche.

E’ con un occhio attento alle implicazioni più vaste dei comportamenti educativi che Mandelli intervista sei studiosi e ne riporta le riflessioni in altrettanti capitoli. I suoi interlocutori sono docenti di filosofia, di pedagogia e scienze della formazione, psicologi dell’età evolutiva: Francesca Rigotti, Paolo Perticari, Maria Rita Mancaniello, Alberto Pellai, Oliver Maurel, Francesco Codello. I sei capitoli dispiegano quindi un ventaglio di prospettive diverse.

Francesca Mandelli è molto brava a condurre il dialogo: sebbene propugni una visione dell’educazione, nella fattispecie di ciò che essa non dovrebbe essere, non prevarica mai, ma pone domande precise che incanalano la discussione e nel contempo lascia che gli intervistati esprimano liberamente le loro idee.

Intervista dopo intervista, si toccano i momenti chiave dello sviluppo delle concezioni educative, dall’ideale classico di sviluppo armonico tra corpo e anima, all’immagine medievale del bambino come un adulto in miniatura privo di ogni specificità, all’impostazione che prende forma nell’Illuminismo e di cui la nostra epoca è sostanzialmente figlia, quella di un’educazione come disciplinamento e correzione, capace di dar forma a individui obbedienti, conformi a una società che punta all’ordine, alla razionalità e all’utilità.

Si portano soprattutto alla luce i nodi cruciali delle prassi educative odierne: se educare vuol dire formare gli adulti di domani, come muoversi quando il mondo sta subendo trasformazioni così veloci e imprevedibili da non permettere di prefigurare come sarà la realtà fra 10 o 15 anni? Quali competenze, quali comportamenti, quali caratteristiche saranno fondamentali? Quali sfide bisognerà saper fronteggiare? In assenza di una visione quanto meno verosimile del futuro, si guarda al passato, ricorrendo a pratiche educative che forse sono sì superate, ma sono anche le uniche disponibili.

Uno spazio importante è dedicato al lato repressivo dell’educazione: poiché l’educazione è comunque una forma di potere, è sempre dietro l’angolo il rischio di un eccesso di autoritarismo e di forza impositiva (anche fisica). In queste pagine, gli effetti nefasti della violenza educativa vengono indagati a fondo e da più angolazioni, mostrando come tale violenza si propaghi da una generazione all’altra e poi dilaghi nelle relazioni sociali, a tutti i livelli, dai comportamenti nel gruppo dei pari alle predilezioni politiche. Emozioni sociali di aggressività, rabbia e odio si possono leggere allora come risvolto non voluto di un’educazione che, lavorando in profondità nella struttura della personalità, punta all’obbedienza all’autorità genitoriale e a un’idea precostituita di come deve essere l’individuo. E se invece educassimo a essere?

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