Roberto Alajmo, “La boffa allo scecco”, Sellerio (2023)

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Giovanni Di Dio, detto Giovà, guardia giurata di Partanna Mondello, una borgata non distante da Palermo, è di nuovo nei guai. Questo cinquantenne pigro, goffo e non particolarmente sveglio, quest’uomo pingue che vive ancora con i genitori e da trent’anni indossa controvoglia la divisa da metronotte perché non gli hanno trovato un altro lavoro, finisce sempre in mezzo ai problemi, benché aspiri solo alla quiete. Ha fatto appena in tempo a rimettersi in sesto dopo le disavventure raccontate nei due precedenti romanzi (Io non ci volevo venire e La strategia dell’opossum), che subito si trova invischiato in un’altra situazione pericolosa. Due uomini vengono ammazzati vicino a casa sua, in quello che ha tutta l’aria di essere un agguato mafioso. Ovviamente Giovà conosceva le vittime. Erano i sedicenti fratelli Mormile, gli affittuari del villino al mare di proprietà di sua sorella. I due vengono crivellati di colpi mentre sono in auto, proprio dopo essere stati a casa della famiglia Di Dio, nell’appartamento che la sorella occupa con la zia e la gatta di quest’ultima, mentre al piano di sotto vive Giovà con la madre e il padre invalido. I Mormile erano venuti a questionare sullo stato del villino e a ribadire che non avrebbero pagato l’affitto neppure questo mese, viste le condizioni dello stabile. Ne era seguita una lite e, poco dopo, la sparatoria. La sorella viene subito prelevata dalla polizia e Giovà si trova costretto a indagare, volente o nolente. A pungolarlo è la madre, che ha ottant’anni ma è più lucida, energica e determinata di lui. Pur di scagionare la figlia, ha deciso di derogare alla regola di vita riassunta nel motto “se non fai niente non sbagli” o, detto altrimenti, “se le seccature ti cercano, basta non farsi trovare” e spinge Giovà a cercare il vero colpevole. A coinvolgerlo ci si mette soprattutto Zzu, colui che nella borgata controlla, amministra, supervisiona e comanda. Nulla può accadere qui senza che Zzu lo decida o vi acconsenta, eppure il duplice delitto pare non essere dipeso da lui, cosa che lo fa arrabbiare; deve trovare chi si è permesso di fare i propri comodi a casa sua e poi non vuole che la polizia gli accolli una responsabilità che non ha. Per fare luce sulla vicenda, fa scendere in campo il figlio Giampaolo e impone a Giovà di collaborare. Zzu è convinto che i Di Dio qualcosa c’entrino e quindi debbano rimediare al guaio che in qualche modo li riguarda. Così il mite Giovà, per natura portato all’inerzia e privo di ogni acume investigativo, deve sfoderare le sue armi più efficaci: la divisa da guardia notturna, che fa comunque il suo effetto, e la facilità con cui sa assumere un’espressione stordita, inducendo l’interlocutore a dire più di quanto vorrebbe.

Una commedia brillante e tinta di giallo, ma con un tocco di originalità: l’indagine si svolge in larga parte alle spalle di chi dovrebbe indagare. Ci sono le vittime e non manca la scoperta del colpevole, in mezzo ci sono svolte inattese e interrogatori improvvisati, ma Giovà non è esattamente padrone della situazione. Le forze dell’ordine, dal canto loro, sono solo un’ombra sullo sfondo, una presenza lontana e indecifrabile, guardata con diffidenza atavica. Malgrado ciò, si viene a capo dell’inghippo, e pure bene. Ad appassionare non è soltanto il processo di svelamento della verità, quanto piuttosto lo spirito del romanzo: l’umorismo, la leggerezza, la vivacità. I dialoghi riproducono la cadenza del parlato siciliano e a dare un ulteriore tocco di colore compare occasionalmente una parola dialettale. Le scene di famiglia sono simpatiche, molte situazioni suscitano il sorriso ed è inevitabile parteggiare per il nostro piccolo eroe, sperare che non faccia la fine dell’asino a cui tutti danno uno schiaffo, “la boffa”, anche se non ha fatto niente, approfittando della sua incapacità di difendersi.

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