Shirley Jackson, “Paranoia”, Adelphi (2018)

 

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Se amate la letteratura fantastica e del terrore ma ancora non conoscete la scrittrice americana Shirley Jackson, sappiate che Adelphi ha già pubblicato L’incubo di Hill House, La lotteria, Abbiamo sempre vissuto nel castello e Lizzie. E’ una scoperta da non perdere, e ricordo che lo stesso Stephen King definisce la Jackson come una maestra del genere.

Paranoia è un libro in buona sostanza diverso rispetto a quelli finora tradotti in italiano. Sono infatti qui radunati scritti inediti che risalgono a momenti diversi della sua breve esistenza (morì nel 1965 a soli 48 anni) e riapparsi, coerentemente con il personaggio, in modo un po’ misterioso: a molti anni dalla sua morte, uno dei figli trova davanti alla porta di casa un pacco privo di mittente e pieno di dattiloscritti senza ombra di dubbio opera della madre. Da questo evento prende avvio una ricerca dei molti altri materiali non noti, che, dopo un’attenta selezione, finiranno in alcune raccolte, tra cui questa (Adelphi in realtà ha scelto di pubblicare solo una parte del più ampio libro Let me tell you).

Il libro si apre con quattro racconti che rendono bene la dimensione straniante e inquietante propria alla Jackson, dove nella trama del tempo e degli eventi quotidiani si infiltra una lama di turbamento.

Dopo questa prima sezione, però, il tono in buona parte cambia. Incontriamo storie, conferenze, pezzi che non disdegnano il soprannaturale e altri che ci fanno scoprire una scrittrice con un grande senso dell’umorismo, capace di ridere di sé e degli altri. Devo dire che, almeno per me, è stata proprio una sorpresa leggere pagine così puramente, classicamente comiche firmate da questa autrice. Intravediamo con grande divertimento scorci della sua vita quotidiana (come si potrebbe non ridere con Come godersi una vita in famiglia?), la routine di una donna moglie di un critico letterario e madre di quattro figli, che ama sopra ogni altra cosa scrivere, ma che deve prima di tutto occuparsi della casa e delle incombenze familiari. Ed è istruttivo vedere come il suo amore per lo straordinario si nutra di una consuetudine con la normalità: la Jackson ci parla di un’infanzia piacevole e rilassata che sfocia in una vita adulta tranquilla e borghese. E’ da esperienze comuni che prende forma la sua arte, come un prisma che sfaccetta la realtà, mostrandone dimensioni nascoste e paurose.

Simpatici i testi dedicati alle sue letture più o meno improbabili (esilarante Sangue di drago) o a quelle del marito (Un florilegio di florilegi) e intelligenti i brevi saggi sulla scrittura.

Quando chiudiamo il libro ci rimane la certezza della bravura e della versatilità della Jackson, che sa farci stare con il fiato sospeso e poi farci divertire.

Un’ultima annotazione: qua e là appaiono alcune vignette. Anch’esse opera di Shirley Jackson.

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