Fabio Bacà, “Benevolenza cosmica”, Adelphi (2019)

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Kurt O’Reilly è un bell’uomo di 30 anni, è intelligente, colto e capace, ha un lavoro interessante e ben retribuito in cui sta facendo rapida carriera, una moglie simpaticamente eccentrica con cui ha trovato una modalità di relazione originale ma funzionale, un discreto numero di buoni amici. Insomma, è un uomo fortunato. Più precisamente, è un uomo perseguitato dai colpi di fortuna.

Siamo a Londra, la Londra odierna realisticamente raffigurata nelle sue vie e nei suoi quartieri, ma con dei tocchi di finzione. In questo scenario, Kurt si muove tra un’isola di buona sorte e l’altra, tra un episodio favorevole e l’altro, in una sempre più palese “sovversione permanente al buon senso”. La sequela di circostanze fortunate è così smaccatamente evidente che persino il suo amico commercialista inizia a impensierirsi.

Che non possa trattarsi di semplici coincidenze è ovvio soprattutto a lui, che per mestiere si occupa proprio di trovare un ordine nel caos dei fatti e degli eventi. È infatti direttore di una divisione dell’Ufficio Nazionale di Statistica, il cui compito consiste nel raccogliere dati sparsi ed elaborare modelli di ricorrenza e prevedibilità. Non che nella sua vita siano mancati gli avvenimenti tragici, ma negli ultimi mesi la sorte è diventata così benevola da far pensare a una vera e propria congiura. Tutto volge sempre per il meglio, tutto ha un risvolto vantaggioso, anche ciò che parte con le peggiori premesse, e questo viola le più semplici regole probabilistiche.

Sebbene Kurt non creda nell’esistenza di un assetto provvidenziale, perché “la vita è una faccenda incomprensibile e nessuna religione, superstizione o legge fisica è in grado di spiegarne il significato”, è però certo della “stabilità degli eventi statistici”. Se dunque la statistica cessa di offrire appigli per una spiegazione logica e razionale, non resta che preoccuparsi. Infatti Kurt non prova alcun godimento per i suoi immotivati e continui privilegi. Non può. Si danna e si affanna, soffre per troppa buona sorte e si confida con chiunque possa aiutarlo a trovare un senso. Ne va del suo equilibrio mentale, fondato su una visione che non prevede i doni del destino. Man mano, si fa allora strada l’idea che questa lunga sequela di privilegi sia controbilanciata dall’eccesso di sfortuna di qualcun altro e che quindi occorre trovarlo e pareggiare i conti; non tanto per ossequio alle leggi del karma, quanto per riallineare la realtà alla sua media statistica.

Bacà è bravo e non possiamo non riconoscerlo. Il suo esordio nel romanzo è felice e riuscito. Se proprio vogliamo trovare un difetto, possiamo indicare un certo autocompiacimento, un desiderio di ostentazione dello scrittore che sta dietro la scrittura. Ma si tratta di un difetto veniale: la prosa è di buona qualità, ricercata ma non pesante né eccessivamente sofisticata, i dialoghi sono brillanti e veloci, le situazioni credibili nella loro incredibilità.

Il risultato è un romanzo davvero divertente, brioso, ricco di sorprese, avventure rocambolesche e veloci colpi di scena, leggero eppure tutt’altro che stupido. Finiamo il romanzo con il sorriso, ma anche con nuovi spunti di riflessione su cosa voglia dire essere realmente felici, vivere una vita piena, essere responsabili e protagonisti della propria vita. E pure con la soddisfazione di aver incontrato qualche bella massima. La mia preferita? “Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola”. Pare lo abbia detto Voltaire. Che guarda caso è il filosofo settecentesco del Candide, il racconto che deride ogni visione ottimistica e benevola dell’ordine del mondo, a cominciare dalla tesi di Leibniz che il nostro è il migliore dei mondi possibili, nonostante l’evidenza delle disgrazie, difficoltà e spiacevolezze varie che costellano le nostre vite. Il nostro Kurt sembra proprio un Candido al rovescio, disincantato quanto Candido è illuso, costretto dagli avvenimenti a interrogarsi sulla sua concezione di fondo e a tornare al mondo con occhi nuovi.

Francesca

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