Susan Glaspell, “Una giuria di sole donne”, Sellerio (2022)

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Già pubblicato da Sellerio qualche anno fa in un’altra collana, questo racconto risale al 1917 ed è una piccola perla, intelligente, acuta, densa pur nella concisione e nella rarefazione della scrittura. È proprio uno dei pregi del libro il fatto di non dilungarsi, bensì di alludere, di fare capire tutto senza dire troppo, portando il lettore esattamente dove vuole che arrivi. Lo fa così bene, che la vicenda narrata non solo non lascia aspetti in ombra, ma offre un’immagine chiara della situazione femminile del periodo, della scarsa considerazione riservata alle donne e dell’infondato senso di superiorità degli uomini.

La storia, ben costruita e con un ottimo crescendo, presenta caratteristiche tipiche del romanzo giallo: c’è un morto, palesemente vittima di omicidio, c’è un testimone, c’è un’indagine e un colpevole da individuare. La vittima è John Wright e della sua morte, avvenuta con modalità insolite, è sospettata la moglie, Minnie, un tempo felice come un uccellino, ma ormai dimessa, spenta e intristita da venti anni di matrimonio trascorsi in una casa fredda e isolata, dove molti sono i lavori da fare, poche le parole e nulla l’allegria. Mancano le prove che sia stata lei e soprattutto manca ogni traccia di un movente: perché lo avrebbe fatto?

Nella fattoria dei Wright, il giorno dopo il crimine, convengono il Pubblico Ministero, lo sceriffo Peters e il signor Hale, che ha trovato il cadavere e incontrato Minnie, notando atteggiamenti sospetti. Sulla scena del delitto, Hale deve ripercorrere davanti ai rappresentanti della legge i dettagli di ciò a cui ha assistito, descrivere lo stato in cui ha trovato ogni cosa e il comportamento della presunta colpevole. Insieme ai tre uomini ci sono anche due donne: la moglie dello sceriffo, la gracile e spaventata signora Peters, a cui il marito ha chiesto di venire affinché scelga vestiti di ricambio per la donna in custodia, e la moglie del testimone, Martha Hale, voluta per dare sostegno e conforto alla consorte dello sceriffo. All’inizio le due signore sono in imbarazzo, faticano a trovare un argomento di conversazione e restano dove gli uomini le hanno piazzate, in cucina, mentre i signori perlustrano le camere e il giardino alla ricerca di indizi e prove. La signora Martha un tempo conosceva bene Minnie ed è dispiaciuta per lei. Si sente in colpa per non esserle stata vicina negli ultimi anni, tutta presa dalle occupazioni quotidiane e dissuasa dalla cappa di tristezza che aleggiava sulla casa dell’amica. A lungo l’ha evitata, ma ora si rende conto che, nonostante le apparenze, hanno molto in comune: “è assurdo signora Peters. Viviamo vicine, eppure siamo così lontane. E dobbiamo tutte sopportare le stesse cose… a guardarci non sembra, ma sono le stesse cose!”. Simile la solitudine, la frustrazione, l’impressione di essere prigioniere e poco considerate.

Glaspell ritaglia i profili psicologici di ogni personaggio con precisione e ricostruisce con sagacia il contesto familiare della vittima. Bastano dettagli, gesti, sguardi, pause, frasi interrotte, stralci di dialoghi sentiti dalle due donne mentre gli uomini passano da una camera all’altra, deridendole con alterigia e condiscendenza per la loro frivolezza, perché dedicano attenzione a cose senza importanza come gli oggetti domestici e il cucito. Lasciate da sole in cucina (il posto delle donne) a occuparsi di banali faccende femminili, Martha e la signora Peters si guardano intorno e capiscono la quotidianità di Minnie, rammaricandosi di non averla aiutata. Mentre gli uomini si muovono tutto il tempo e passano accanto a ciò che conta senza vederlo, distratti dall’arrogante certezza di saper distinguere le “cose serie” dalle “bazzecole”, le due donne, ferme al loro posto, osservano con attenzione, “come se sapessero andare al fondo delle cose”; l’empatia, la capacità di calarsi nei panni degli altri, in sostanza così poco diversi dai propri, permette loro di afferrare la verità e fa scaturire con naturalezza la decisione di cosa fare.

Il racconto è preceduto da un breve scritto introduttivo di Alicia Gimenéz-Bartlett intitolato La sorellanza e seguito da Un poliziesco al femminile, un breve, interessante saggio di Gianfranca Balestra, ricco di informazioni e di spunti di riflessione sulla questione femminista.

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