Arno Camenisch, “Ultima neve”, Keller (2019)

 


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Ancora una volta dobbiamo ringraziare la casa editrice Keller e l’ottima traduttrice Roberta Gado per aver reso disponibile in italiano l’opera di un autore svizzero contemporaneo. A poche settimane di distanza dalla pubblicazione de Il grande amore di mia madre di Urs Widmer, che ho segnalato di recente, Keller torna infatti a proporci un romanzo svizzero, questa volta del grigionese Arno Camenisch, scrittore già da tempo e meritatamente nel suo catalogo.

Trasporre un’opera letteraria da una lingua a un’altra è sempre un’impresa complessa, a cui è affidata una parte determinante, anche se spesso misconosciuta, dell’apprezzamento dei lettori. Nel caso di Camenisch, il peso della traduzione è particolarmente significativo, perché la sua scrittura ha delle caratteristiche originali e specifiche che ne costituiscono i punti di forza.

La sua prosa appare semplice perché particolarmente fluida. È una scioltezza leggera e vivace, che lega in un tutt’uno parole, dialoghi, descrizioni, gesti, azioni. È una lingua colorita e ricca di espressioni colloquiali, dialettali e intercalari, mai eccessiva, molto comprensibile e molto piacevole. È una lingua perfetta per ciò di cui parla.

Paul e Georg, anzi il Paul e il Georg, sono i due custodi di una piccola e modesta stazione sciistica grigionese. Arrivano al mattino e mettono in funzione gli impianti, ripartono la sera dopo averli spenti. Come si è sempre fatto e come va fatto. Le giornate trascorrono così, pacate e immutabili, scandite dai giri di uno skilift ormai vecchiotto. Eppure qualcosa sta mutando, perché siamo in autunno inoltrato ma la neve tarda ad arrivare e gli sciatori sono pochi, a volte non ne arriva neppure uno. Colpa dei cambiamenti climatici. E allora Paul e Georg aspettano, scrutano il cielo e la strada, si occupano della manutenzione e del rispetto scrupoloso del regolamento, giocano a jass, facendo finta che tutto sia come al solito. Soprattutto parlano. A ruota libera, in questa attesa indefinita, sfiorano i grandi temi universali, ricordano, si soffermano sui fatti quotidiani, esprimono le loro paure e speranze, quello che insegna la saggezza popolare e quello che loro stessi hanno imparato dalla vita. Raccontano il passato e il presente di un paese che si sta svuotando, in cui l’ufficio postale è stato chiuso e i negozi non vengono rilevati. Il più loquace dei due è Paul, Georg perlopiù ascolta e agisce. Paul è una vera miniera di storie, alcune schiettamente divertenti. Ogni spunto è buono per tirar fuori dal suo scrigno una considerazione o un aneddoto, in una profusione di metafore e similitudini argute ed espressive.

Ultima neve è un breve romanzo incantevole e delicatamente ironico. È intriso di malinconia, ma non fa l’apologia del passato; semplicemente, constata la veloce scomparsa di un mondo e di una visione del mondo, con tutto il loro carico di buon senso e di modi di pensiero ormai inadeguati ad afferrare la contemporaneità. Paul e Georg sono consapevoli di essere fuori posto, in bilico tra un presente che non sanno fronteggiare e un passato che si squaglia come la neve quando fa caldo, un caldo che non aveva mai fatto prima.

Il rimando all’opera teatrale di Beckett Aspettando Godot è palese (la scena che resta fissa, il dialogo tra due soli personaggi, l’attesa infinita) – e lo stesso Camenisch non manca di segnalarlo. Eppure il nostro romanzo ha temi propri e una vita propria, oltre che una originale cifra stilistica. Grazie a quest’ultima, benché il racconto sia affidato a due soli personaggi, in realtà è un’intera comunità a prendere la parola, in una polifonia sommessa che ci rammenta che il tempo (meteorologico e umano) non è più quello di una volta.

Francesca

 

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